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reno e sorridente e ripetè il suo filosofico ritornello: «Lascia passare trenta giorni per un mese».

Paulu, dopo essere stato cacciato via dal Seminario di Nuoro, non aveva voluto proseguire gli studi: si divertiva, come si divertono molti piccoli proprietari sardi, correndo di villaggio in villaggio per le feste campestri. Tutti i mendicanti della Sardegna, che vanno appunto di festa in festa, lo conoscevano. Anche i ciechi dicevano: «È quel cavaliere di Barunei, don Paulu Decherchi, un riccone ispassiosu».1

Nei villaggi egli prendeva denaro dagli usurai, nelle feste lo sprecava. Pareva pazzamente innamorato della vita. A giorni era buono e allegro, a giorni cattivo e violento.

Annesa ricordava. Ora Paulu era diventato docile e mansueto; gli anni e le sventure lo avevano domato come un puledro: ma allora! Quante volte l’aveva bastonata perchè ella faceva l’amore con Gantine!

— Vergognati, sfacciata; egli è un servo; è un bastardo.

— Ed io non sono una serva? — ella rispondeva piangendo. — Non sono anch’io figlia di nessuno?

— Egli ha dieci anni meno di te!

— Gli anni non contano; l’albero giovane intreccia i suoi rami con quelli dell’albero vecchio...

Gli occhi di Paulu splendevano come gli occhi di un gatto selvatico.

  1. Che ama i divertimenti.