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l’edera | 31 |
stelle vivissime. Davanti ad Annesa stendevasi l’orto, nero e tacito, dal quale saliva un aspro odore di pomidoro e di erbe aromatiche: il profumo del rosmarino e della ruta ricordava la montagna, le distese selvagge, le valli primordiali, coperte di macchie e di arbusti, che circondavano il paese.
In fondo all’orto cominciava il bosco, dal quale emergeva la montagna, col suo profilo enorme di dorso umano disteso sull’orizzonte stellato. I grandi alberi neri, in fondo all’orto, erano così immobili e gravi che parevano roccie scure.
Ma la pace, il silenzio, l’oscurità della notte, l’immobilità delle cose, pesavano come un mistero sul cuore di Annesa. Ecco, a momenti le pareva di soffocare, di respirare penosamente come il vecchio asmatico.
Anch’ella aveva capito: Paulu tornava da Nuoro senza i denari che da tre mesi egli cercava disperatamente per tutti i paesi del circondario. La rovina era imminente.
— La casa e l’orto, la tanca, il cavallo, i mobili, tutto sarà messo all’asta... — gemeva fra sè la donna, col busto curvo fin quasi sulle ginocchia.
— Ci cacceranno via come cani affamati, e la famiglia Decherchi diventerà la più misera del paese. Bisognerà andarsene via... come i mendicanti che vanno di paese in paese... di festa in festa... Ah!
Sospirò profondamente, ricordando la sua origine.
— Era meglio che mi avessero lasciato proseguire la mia via... Ah, non avrei sofferto così, non