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l’edera 27


Ma mentre ella scendeva lo scalino dell’uscio, un passo cadenzato di cavallo risuonò nella straducola deserta: ella si fermò, ascoltando, poi disse: — È don Paulu! — e attraversò di corsa la cucina, dimenticandosi persino di deporre un piatto che teneva in mano.

Poco dopo entrò in cucina un uomo ancora giovane, alto e svelto, tutto vestito di nero, da borghese, con un cappello duro in testa.

Gantine balzò in piedi.

— No, — disse Paulu, dopo aver salutato l’ospite con un cenno del capo — non levar la sella al cavallo, che è tutto sudato. Lascialo un momento respirare: portalo poi da ziu Castigu e domani mattina all’alba conducilo al pascolo.

E mise un piede su uno sgabello e si curvò per levarsi lo sprone.

L’ospite povero guardava con curiosità: e gli pareva che servo e padrone si rassomigliassero. Lo stesso viso bruno, gli occhi lunghi e dolci, la stessa bocca dai labbri sporgenti, la fossetta sul mento. Senonchè Paulu sopravanzava di tutta la testa il servo, e aveva una aria triste e preoccupata, mentre Cantine sembrava allegro e spensierato. E la bocca del giovine servo era rossa e sorridente, mentre le labbra di Paulu, sotto i baffi neri, erano pallide, quasi grigie.

— Sì, — pensava il venditore di briglie, — ora ricordo: il mio padrino Pascale Sole mi diceva un giorno che i Decherchi avevano preso in casa, come