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— Che facciamo? — ripetè Paulu. — In casa mia c’è bisogno di una donna fedele e paziente: mia madre è vecchia, anche lei malandata: Rosa è tanto infelice, io sono un cadavere ambulante. Anna, ritorna, se vuoi fare penitenza.

— Donna Rachele ha paura di me, — rispose Annesa; — se ella vuole posso ritornare, ma finchè è viva lei non riparlarmi di matrimonio.

— Allora è inutile che tu ritorni, — egli rispose tormentato dalla sua idea fissa.

E se ne andò, senza neppure stringerle la mano. L’uno per l’altro, oramai, erano gelidi fantasmi. Un altro anno passò. Egli non la molestò oltre, ma coi suoi rimorsi, le sue paure, la sua idea fissa dovette suggestionare donna Rachele, perchè un giorno Annesa ricevette una lettera con la quale la vecchia dama la pregava di «ritornare».

Ella abbandonò con dolore la tranquilla casetta dalle cui finestre il canonico Farfalla parlava con le stelle, e «ritornò». La vecchia casa Decherchi pareva una rovina: la porta tarlata, i balconcini arrugginiti, sfondati, il cornicione coperto di erbe selvatiche, tutto, all’esterno, come nell’interno della casa, tutto era decrepito, irriconoscibile, pronto a cadere ed a seppellire le tre meschine creature che abitavano quella rovina.

Annesa rientrò piangendo in quel luogo di pena: vide donna Rachele coricata sul lettuccio, nella camera da pranzo, e trasalì: accanto al lettuccio stava seduta una vecchietta giallognola, un po’