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l’edera | 263 |
Ma egli non le prese la mano, non le propose di tornare a casa: ed ella ritornò in sè, vide che egli era invecchiato, imbruttito, e che la guardava in modo strano, con occhi cattivi, disperati.
— Che vuoi? — gli domandò, come svegliandosi da un sogno.
— Te lo dirò in viaggio. Cammina, su; montiamo sul carrozzino. Avremo tempo di parlare in viaggio.
— Che vuoi? Che vuoi? Dove vuoi andare? ella ripetè, ridiventata pallida e triste.
— Andremo dove vorrai. Ma cammina, andiamo; bisogna partire.
— Io non partirò con te.
Gli occhi di lui s’accesero d’ira.
— Tu partirai con me! E subito! Andiamo. Vieni.
Allungò la mano, ma la ritirò subito, quasi che una forza o un disgusto superiori alla sua volontà gli impedissero di toccare Annesa: ed ella se ne accorse, come sulla montagna s’era accorta della paura instintiva di prete Virdis. Tuttavia indietreggiò, scostandosi sempre più da lui.
— Io voglio partire, ma non con te, — gli disse con tristezza, ma senza rancore, fissando sempre negli occhi dispettosi di lui i suoi occhi spalancati e vitrei. — Perchè sei venuto? Sapevi che io non ti avrei obbedito. Non te lo ha detto prete Virdis? Io non verrò con te, non verrò più.
— Tu verrai invece, tu verrai! Ti legherò!...
— Puoi legarmi, trascinarmi: io scapperò appena potrò, te ne avverto!