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258 | l’edera |
— Prete Virdis, — rispose semplicemente. — Il tempo risponderà per me.
— Il tempo, il tempo! — ripetè con voce monotona, volgendo gli occhi verso il balcone aperto, quasi per scrutare, fuori, nell’orizzonte buio, il mistero dell’avvenire.
Prete Virdis si fermò, la guardò alla sfuggita, scosse la testa.
— Tu dunque non vuoi vederlo? Pensaci bene: hai tempo tutto domani.
— Ho già pensato: non voglio vederlo.
— Allora andiamo giù e ceniamo.
Scesero. Zia Paula aveva chiuso il portone, ed era andata a prendere il vino in cantina.
Prete Virdis pranzava e cenava in cucina, come un contadino; i suoi pasti erano frugali, ma inaffiati da abbondante e generoso vino d’Oliena. Anche quella sera egli bevette discretamente, poi cominciò a chiacchierare e a discutere con zia Paula, la quale ripeteva le cose dette da Gantine.
Prete Virdis s’irritava contro il servo «chiacchierone e leggero come una donnicciuola», ma non difendeva Paulu: Annesa ascoltava e taceva, come se i suoi ospiti non parlassero di lei, ma d’una persona che ella non avesse mai conosciuto o fosse morta da lungo tempo. A un tratto, però, mentre zia Paula andava di nuovo in cantina, ella sollevò gli occhi e disse:
— Prete Virdis, le domando una grazia: mi faccia partire domani mattina.
— Anghelos santos, hai ben fretta, Anna! Fino a posdomani mattina non è possibile.