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— Bei sentimenti, hai, giglio d’oro! — esclamò zia Paula. — Andrai all’inferno vivo e sano.

— L’inferno è qui, in questo mondo, zia Paula! — egli disse andandosene.

Quando fu per uscire si fermò e aggiunse:

— Le direte poi così: «Annesa, non fidarti di Paulu: egli è una vipera, null’altro. Egli non ti vuol bene: se ti vuole sposare è perchè crede che tu abbi ammazzato il vecchio per lui, e non vuole avere rimorsi». Eh, è uomo di coscienza, don Paulu!... Oh, un’altra cosa, che ho saputo stamattina, — concluse Gantine, ritornando indietro di qualche passo. — Le direte così, poi: «Annesa, c’è una donnaccia di Magomadas, una vedova facile e denarosa, la quale l’altro giorno s’è vantata che Paulu Decherchi è innamorato pazzo di lei, e che lei gli ha prestato molti denari, il giorno prima che zio Zua morisse; e che glieli ha prestati perchè egli ha promesso di sposarla». Buona notte, zia Paula.

— Aspetta, aspetta, — implorò la vecchia, curiosa, correndogli appresso: ma egli andò via, promettendo di ritornare.

Annesa, appoggiata all’uscio, con le braccia tremanti abbandonate lungo i fianchi, si sentiva soffocare, come quando, nella notte del delitto, aveva saputo che Paulu era passato nella via senza avvertirla: e si sforzava a non credere alle parole di Gantine, ma in fondo al cuore sentiva ch’egli non aveva mentito. Ubbriaca di dolore e desiderosa di gastigo, ripeteva a sè stessa:

— Meglio, meglio. Meglio così!