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ella serbi rancore contro i nostri padroni e non voglia più ritornare in una casa dove ha tanto sofferto. Perchè è per causa loro...

— Là, là, taci, linguacciuto! — impose zia Paula. — Che causa loro! Sono loro, invece, che dovrebbero dire...

— Che cosa dovrebbero dire?...

— Insomma, se Annesa avesse dato il calmante al malato, egli non sarebbe morto.

— Il calmante? Doveva strangolarlo, invece, doveva...

— Là, là, linguacciuto, taci!

Annesa si domandava:

— Se Gantine sapesse, mi scuserebbe? Forse sì. Anch’egli lo odiava. Ma egli non saprà mai.

No, no, no: vattene, Gantine, vattene. Io non voglio più ingannarti, non voglio più ingannare nessuno.



Finito di leggere il suo breviario, prete Virdis s’alzò, e si affacciò al balcone. Il cielo s’era fatto cinereo; la stella che mandava il suo scintillio verdognolo fin dentro la cameretta, era apparsa sopra la montagna lontana: il grillo cantava. Prete Virdis aspettava Paulu, e il vetturale zio Sogos, che doveva portargli una lettera da Nuoro. Ma entrambi tardavano: eppure la corriera doveva es-