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di don Simone. La porta è chiusa: ella spinge il portone, e il portone si apre. Si vede che Gantine è uscito di nascosto dei suoi padroni, ed ha lasciato il portone aperto. Ella entra nel cortile, entra nella cucina, entra nella camera: dietro l’uscio arde il lumino da notte; zio Zua sta seduto sul lettuccio e respira affannosamente. Ella si butta sul canapè e sta per addormentarsi. Ma ad un tratto si solleva e guarda spaventata il vecchio. Come, non era morto? Non lo aveva ucciso lei? Che fa ora lì, il vecchio? Perchè lo hanno rimesso lì? È vivo? È risorto? Parlerà ora? L’accuserà? Bisogna fuggire: bisogna camminare ancora; andarsene lontano.

Ella si svegliò: pensò subito:

— Bisogna camminare, camminare ancora.



Poco dopo sentì prete Virdis rientrare: lo attese, ma egli tardò alquanto a salire.

— Deve essere entrato da zia Paula, per avvertirla che son qui. Quanto borbotterà, quella donna!...

Zia Paula, invece, non borbottò. Ella dormiva in una cameretta terrena, poveramente arredata come la camera del balcone: quando prete Virdis entrò, e la svegliò dicendole che bisognava tener nascosta Annesa almeno per qualche giorno, zia Paula si contentò di rispondere: