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236 | l’edera |
Virdis chiuse le imposte: si volse, pareva adirato.
— Dunque?
— Sono qui, — ella disse, scuotendosi. — Sono passata là, ho ascoltato alla finestra.
— Dove, là?
— Là, — ella indicò con un gesto vibrato, come per significare che non poteva esserci altro là, altro posto davanti al quale ella potesse fermarsi. – Dov’era lei, poco fa! Allora... sono venuta qui... l’ho preceduta, l’ho aspettata. Ha veduto?
— Va bene. Va bene... Ho veduto.
Egli si mise a passeggiare attraverso la camera. Che fare? Che voleva da lui quella donna? Voleva ajuto; voleva essere salvata da lui. Come salvarla? Non bastavano le buone intenzioni, le buone parole. Occorreva l’azione. Che fare?
— Da due giorni penso a te, — egli disse, senza guardarla. — E penso che l’aria di questo paese non è più buona per te.
— Sì, voglio andarmene.
— Dove, però, dove?
— Ci pensi lei!
— Io? — egli disse, puntandosi un dito sul petto. — Giusto io? Ah, sì, sì: voi combinate le magagne; dopo devo pensarci io...
— Vostè es su pastore...1 — mormorò Annesa. - No, non si arrabbi, prete Virdis, non mi abbandoni... Lei pensa a tutti... e deve pensare anche a me.
- ↑ Lei è il pastore.