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l’edera | 21 |
— No, davvero, — insistè l’altro — fammi sapere se hai o no un fidanzato. Dal modo aspro con cui mi parli, parebbe di no: o è molto brutto.
— E invece t’inganni, fratello caro: il mio sposo è molto più bello di te.
— Fammelo conoscere.
— Perchè no? Aspetta.
Ella rientrò nella sala da pranzo, e dopo le trote servì le uova fritte con cipolle, e in ultimo portò una focaccia di pasta e formaggio fresco.
— Non aspettavamo ospiti — si scusava donna Rachele, rivolgendosi con evidente umiliazione a Ballore Spanu. — Perdona dunque, Ballore, se ti trattiamo male.
— Voi mi trattate come un principe — rispondeva l’ospite, e mangiava e beveva allegramente.
Anche i due nonni scherzavano. Don Simone era, o sembrava, lieto e sereno come Ballore l’aveva sempre conosciuto: nel riso di ziu Cosimu si notava invece qualche nota triste; e anche il vecchio asmatico, che masticava lentamente la polpa rosea e grassa d’una trota, prendeva parte alla conversazione, e sogghignava quando l’ospite parlava di Paulu.
— Non c’è che dire, eravamo due testoline sventate, io e suo figlio, donna Rachè! — diceva Ballore Spanu. — Ricordo, una volta Paulu venne a trovarmi al mio paese, ed entrambi partimmo assieme, e per un mese le nostre famiglie non seppero nulla di noi. Andammo di festa in festa, di villaggio in villaggio, sempre a cavallo. Che teste, Dio mio! Come si è pazzi, in gioventù!