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l’edera 197


— Qui, vedi, dopo che tu sei entrata, io metterò una pietra e un po’ di fronde — disse il pastore. Nessuno potrà scovarti.

— Ho paura, — disse Annesa.

— Di che hai paura? Solo il diavolo potrebbe scovarti. Andiamo.

Si curvò e sparve. Annesa si curvò a sua volta, si mise carponi, e il pastore, dall’interno, la prese per le braccia e la tirò dentro.

Ella vide allora, non una grotta bassa e tenebrosa come son quasi tutte le grotte delle montagne, ma una specie di cameretta quadrata, formata da roccie mirabilmente collocate. Oltre il buco d’entrata, uno spiraglio abbastanza largo per lasciar passare una testa d’uomo, s’apriva fra due macigni; e Annesa, appena sollevatasi, vi s’affacciò diffidente. Ma sotto di sè vide una cascata spaventosa di roccie, precipitante fin quasi in fondo alla valle: qua e là, fra i crepacci delle rupi livide alla luna, nereggiavano ciuffi d’elci e cespugli che parevano chiome selvaggie di mostri pietrificati. Un chiarore vago penetrava dall’apertura; tuttavia zio Castigu accese un fiammifero, lo sollevò, lo abbassò; allora Annesa distinse, in fondo alla grotta, un avanzo di cenere, e accanto a questo segno di passaggio umano una pietra addossata alla roccia. Altre creature erano dunque passate in quel luogo di mistero, portandovi e lasciandovi qualche cosa del loro dolore e della loro paura. Ed ella sedette sulla pietra, come su un trono di espiazione, e quando il pastore se ne fu