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— Devo andare per la benedizione, — disse, con voce grave. — Se avete bisogno di me chiamatemi.

Finalmente la casa restò tranquilla: i due vecchi uscirono nell’orto, donna Rachele potè muoversi. Annesa sedette sullo scalino della porta che dava sull’orto e guardò verso la montagna. Cadeva una sera mite e luminosa. I boschi, immobili e taciti, dal confine dell’orto fino agli estremi vertici della montagna apparivano rosei, come illuminati da un incendio lontano: le fronde rossastre degli ultimi elci si disegnavano nettamente sul cielo grigio-violaceo dell’alto orizzonte. Tutto era pace e silenzio: ma Annesa si sentiva stanca, e benchè le sembrasse di udire ancora, nella camera vicina, l’ansare del vecchio asmatico, provava l’impressione che anni ed anni fossero trascorsi dopo il fragoroso temporale della notte prima. Non poteva convincersi che in un giorno e una notte fossero accadute tante cose. E le pareva di essere invecchiata, e che un peso invisibile le gravasse sulle spalle e la costringesse a curvarsi fino a terra.

— Tutto è finito, — pensava. — E ora bisogna andarsene. Se resterò qui, in questa casa, non sarò più capace di ridere, di parlare, di lavorare. Ho liberato gli altri dal tormento del vecchio, ma mi sembra d’avermi caricato un peso sulle spaile... Sì, eccolo qui, sulle mie spalle: è il vecchio, e geme ancora...

Trasalì e impallidì. Uno sbadiglio nervoso le contrasse il viso.