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l’edera 175

volse, inquieta, e nell’angolo dietro la porta vide Niculinu il cieco: immobile, rigido, egli fissava nel vuoto i suoi occhi biancastri, dalle palpebre pesanti, e pareva deciso a non muoversi presto.

— Che fai lì? — ella domandò, inquieta. — La gente è di là, nelle stanze di sopra. Va di là.

— E tu che fai?

- Preparo la colazione, — ella rispose, prendendo un piatto dall’armadio.

— Ah, i morti non mangiano più, ma i vivi mangiano ancora!

— Sicuro! dal momento che essi hanno ancora la bocca! Che t’importa? — ella disse, seccata. — E tu, ieri, non hai mangiato, qui? E tuo padre non è morto?

— Sì, ho mangiato e bevuto, — riprese l’altro, con la sua voce fiacca e dolce. — Perciò... Basta; dov’è Gantine? Non tornerà oggi?

— Nè oggi nè domani. È lontano: nella lavorazione del salto di San Matteo.

— E don Paulu, dov’è?

— Ma che t’importa? — ripetè Annesa. — Non ho voglia di chiacchierare con te, Niculinu. Fammi il piacere, vattene.

— Annesa, — egli ripetè, senza badare alle aspre parole di lei, — dov’è don Paulu? Se ritorna digli che non tutti ieri hanno creduto, come ho creduto io, di far la Comunione in questa casa. C’è della gente maligna, nel mondo! Molta gente maligna.

— E lascia che ci sia! Lo so, i fratelli Pira hanno sparlato di noi, dopo aver mangiato e be-