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174 | l’edera |
Più tardi la casa si riempì di gente: vicini, parenti, amici. Vennero anche i due vecchi fratelli che il giorno prima avevano preso parte al pranzo dei poveri; e l’amico del defunto diceva:
— Come si muore presto! Ieri ancora Zua era pieno di vita...
— Sì, egli correva e saltava come una lepre che presente la pioggia! — osservò ironicamente l’altro fratello.
Poi venne il falegname con la cassa, e il morto fu messo dentro, con le sue medaglie e il crocefisso nero. Qualche vecchia parente propose di cantare una nenia funebre in onore del morto, ma don Simone si oppose: egli era un uomo all’antica, sta bene, e approvava anche gli antichi usi, ma capiva che certe barbare cerimonie hanno fatto il loro tempo: quindi ordinò ad Annesa di preparare il pranzo, mentre di solito non si accende il fuoco nelle case ove c’è un morto; ed ella si ritirò nel suo angolo, sotto la tettoja, contenta di sfuggire all’attenzione delle persone curiose che andavano e venivano con la scusa di far le condoglianze a donna Rachele ed ai vecchi nonni.
Il cortile era deserto. La piccola Rosa era stata mandata in casa della zia Anna e non doveva ritornare che a sera inoltrata.
L’ora passava; Annesa si sentiva sempre più tranquilla: ancora un po’ e la terra muta si sarebbe aperta per inghiottire il terribile segreto. Ma mentre attraversava la cucina per cercare qualche cosa nell’armadio, ella sentì un profondo sospiro: si