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l’edera | 173 |
suno mi ha veduto tornare ieri sera: il mio cavallo forse è ancora da ziu Castigu. No, — aggiunse, — non posso restare qui oggi. Son troppo irritato, prete Virdis! Egli mi offende anche dopo morto. Vado via: potrei parlar male, e ogni mia parola sarebbe pesata. Dammi la bisaccia, Annesa, mettici dentro un pezzo di pane...
— Paulu, abbiamo da pensare ad altro! — disse donna Rachele, e Annesa non si mosse.
Ma egli, offeso per l’affare delle cartelle e del testamento, era deciso ad andarsene; l’idea di dover restare tutto il giorno a casa e mentire, davanti agli estranei, un dolore che non sentiva, aumentava la sua agitazione. Disse: — Me ne andrò nell’ovile di zio Castigu.
— Va pure, cattivo cristiano, va! La volpe cambia il pelo, ma non il cuore. Va, va, — disse il prete, agitando sempre il suo fazzoletto, come per scacciare le mosche.
E Paulu si mosse per uscire. Donna Rachele e don Simone, che in fondo in fondo giustificavano la sua collera, non lo trattennero: solo Annesa gli corse dietro, e gli disse, supplichevole:
— Tu non farai questo! Tu non andrai, Paulu! Che dirà la gente?
— Se qualcuno mi vedrà tornerò indietro, — egli promise. — Lasciami andare. È ancora presto: nessuno mi vedrà.
Uscì e non tornò. Donna Rachele, prete Virdis e don Simone confabularono a lungo; poi il sacerdote se ne andò, promettendo di provvedere a tutto per i funerali.