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l’edera 167


— Attaccato alla vita! — disse amaramente, come fra sè, ricordando che il giorno prima aveva pensato di uccidersi. — Se fossi stato così come voi dite, avrei... basta, non è ora di parlare di queste cose!

— E allora taci! — Un morto è là; pensa piuttosto che tutti dobbiamo morire. Zua Decherchi non era un vile, che si possa chiacchierare e scherzare davanti al suo cadavere. Era un uomo valoroso, e sopratutto un uomo onesto, lavoratore e giusto. I mali fisici lo avevano reso aspro, ora, ma spesso è nell’amarezza che si dicono le verità. E la verità è quella che dispiace!

Paulu non rispose subito. Dopo tutto egli era un figlio e un nipote rispettoso e non aveva mai questionato coi suoi maggiori, anche perchè lo giudicava inutile. Non aveva mai questionato, ma aveva sempre fatto il comodo suo, sempre ritenendosi infinitamente superiore, per intelligenza e volontà, ai suoi nonni ignoranti e semplici. Le parole insolite di zio Cosimu, in quell’ora funebre, lo colpirono vivamente, anzi gli dispiacquero. Ma poi pensò che forse il nonno aveva ragione, e forse per questo volle, dopo un momento, replicare.

— Un giusto! — mormorò. — La morte del giusto però, non l’ha fatta!

— Taci, taci dunque! — disse allora don Simone, che s’era messo a pregare quasi a voce alta. — Tu non sai quello che dici! Perchè non ha fatto la morte del giusto? Non è morto nel suo letto, di morte naturale? Perchè non si è confessato? Ma il