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nulla per sè, in questo mondo: non credeva nell’altro.

Si alzò, sbadigliò, rabbrividì di freddo. La notte era alta ancora, ma si udivano i galli cantare, e qualche roteare di carro risuonava in lontananza, nel silenzio delle straducole umide illuminate dalla luna. La candela ad olio ardeva ancora, ma il lucignolo aveva formato una specie di funghetto di fuoco che mandava un fumo nero ed acre.

Come un vecchio delinquente ella cominciò a preparare ogni cosa prima di chiamare i suoi benefattori; prese la candela, la riempì a metà d’olio, tagliò con le forbici il lucignolo arso: entrò nella camera, cautamente; e prima di tutto guardò se il canapè era abbastanza in disordine, poi tolse la coperta dal viso della vittima e stette lungamente a guardarla. Il vecchio continuava a ridere, col suo orribile riso; ma il volto s’era fatto grigio, gli occhi s’erano un po’ socchiusi e appannati. Ella avrebbe voluto scuotere il cadavere, fargli prendere un’altra posizione, ma non osò: le destava un raccapriccio invincibile, le pareva che, toccandolo, le sue dita sarebbero rimaste attaccate a quelle carni morte.

Finalmente potè allontanarsi; si levò il corsetto, il grembiale, li depose sulla sedia; si scompigliò i capelli, si passò le mani sul viso, sugli occhi, quasi per comporsi una maschera d’indifferenza; poi salì al primo piano, e battè all’uscio della camera di donna Rachele. Gli uomini dormivano all’ultimo piano: zio Cosimu anzi s’era fatto un