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156 | l’edera |
temeva anche di star sola, sebbene il sonno la vincesse. Come i febbricitanti, o le persone circondate da gravi pericoli, non voleva addormentarsi: già mille fantasmi le apparivano in lontananza; tutto diventava sempre più torbido e pauroso intorno a lei.
Paulu, che era stanco e voleva ritirarsi, la trascinò con se fino alla porta di cucina; ma quando vide la candela, posata per terra vicino al focolare, ella ricominciò a tremare, a battere i denti, e si strinse maggiormente a lui.
— Non soffocarmi, — egli le disse all'orecchio, scherzando.
Ella lo lasciò subito e s’irrigidi, ma perchè egli non se ne andasse, cominciò a parlare; pareva vaneggiasse.
— Aspetta: ho da dirti una cosa. Non occorre aspettare a domani per parlarne. Verrò nella miniera... Sicuro, se vuoi posso venire da domani, da stanotte. Verrò. Come puoi aver pensato il contrario? Vuol dire che non mi conosci; se no sapresti che con te io verrei nell’esilio, lontano, in altre terre, nelle altre parti del mondo. Se tu commettessi un delitto, verrei con te nell’ergastolo, porterei io le catene, non ti lascerei mai, metterei la mia mano fra la tua carne e le catene...
— Speriamo non occorra — egli osservò, poco commosso.
— Senti, senti, Paulu. Dovevo dirti una cosa... aspetta... — ella proseguì, passandosi una mano sul viso. — Ah, ecco, non voglio che tu parli con