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148 | l’edera |
lui nell’orto, come di solito facevano. La prese quindi per la vita e la trascinò con sè. Il terreno era umido, la notte fresca: l’acqua del fossatello in fondo all’orto, ingrossata dall’acquazzone, brillava alla luna con un riflesso giallastro; dal bosco veniva un odore di erba e di terra bagnata: Annesa non si accorgeva di nulla, ma Paulu, nonostante la stanchezza del viaggio, provava un’eccitazione febbrile, sentiva la dolcezza della notte, voleva partecipare la sua gioia all’amante. Gli pareva giusto, dovendo farsi perdonare da lei qualche torto. Non s’avanzarono fino al bosco troppo umido, quella notte: rasentarono la casa, e si fermarono vicino alla porticina del cortile.
— Ti sarai spaventata, — egli disse, tenendola sempre stretta a sè. — Mi sono tanto pentito di quel bigliettino: ero disperato. Ti racconterò tutto, ora. Ti sei spaventata, vero?
Annesa non rispose: pareva indispettita.
— Ebbene, perdonami. Sta allegra, ora: senti che cosa mi è capitato...
— Sarà meglio che chiuda la porta di casa e faccia il giro per aprire qui: staremo meglio nel cortile. È tardi, è tanto tardi — ella mormorò cercando di liberarsi dalla stretta di lui.
— Aspetta un po’, Annesa... Non mi hai dato ancora un bacio.
Egli la baciò con più ardore del solito: pareva che avesse corso qualche pericolo, che avesse temuto di non rivederla più, e rivedendola sentisse di amarla più di quanto credeva.