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l’edera | 143 |
le pareva di non poter più alzarsi e camminare; e avrebbe voluto coricarsi e dormire, poichè tutto era finito, e oramai non le restava che dormire, dormire profondamente.
— Dirò che egli è morto mentre dormivo. Perchè devo svegliarli, ora? C’è tempo... c’è tempo...
Reclinò la testa, chiuse gli occhi: e subito vide il viso del vecchio girare vertiginosamente intorno a lei. Ma subito un passo risuonò nel silenzio della notte chiara, sui ciottoli umidi della straducola. Ella provò un nuovo terrore, sembrandole di riconoscere il passo di Paulu.
Il passo s’avvicinava. Ella balzò in piedi, prese il lume, si curvò sulla lampadina e stette ad ascoltare, con crescente terrore. Paulu non poteva essere: in tutti i modi egli sarebbe ritornato a cavallo. Eppure quel passo un po’ indolente sembrava il suo...
La fiammella della lampadina s’allungò, s’indugiò intorno al lucignolo del lume, parve comunicargli un segreto, poi si rimpicciolì, si fece ancor più quieta e timida. E la nuova luce si sparse, giallognola e triste, cercò ogni angolo della camera lugubre, illuminò il mucchio immobile che sorgeva sul letto. Anche la mente di Annesa parve rischiararsi: ella capi ciò che aveva fatto, ed ebbe paura di sè stessa.
— Ho ucciso un uomo, io, Annesa, ho ucciso! Dio mio, che ho fatto?
A misura che il passo s’avvicinava, ella sentiva crescere la sua paura: paura che il vecchio, non