Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
l’edera | 141 |
Ella si stancò: si sollevò e andò a raccattare nuovamente la coperta. Un urlo risuonò per la camera:
— Aiuto! Aiuto!
Allora ella perdette l’ultimo barlume di ragione. D’un balzo fu sopra il vecchio, gli gettò la coperta sul capo, lo premette con tutto il peso della sua persona.
Un gemito sordo e lontano, un agitarsi disperato di membra sotto la coperta: poi, lentamente, il gemito s’affievolì, parve venire da una lontananza buia, dalla profondità d’un abisso; e sotto il suo petto convulso, fra le sue braccia contratte, Annesa non sentì che qualche sussulto, un lieve movimento, più nulla...
Quanto tempo era passato? A lei parve fossero trascorsi appena due o tre minuti, e si meravigliò della poca resistenza della vittima. Dubitando che il vecchio fingesse ancora, gli premette il viso con le mani, gli spinse la testa contro il cuscino.
Altri minuti passarono. Ella riacquistava gradatamente quel po’ di semi-incoscienza febbrile che l’aveva sostenuta fino al momento del delitto; ed ora si accorgeva di quello che faceva, e aveva paura di venir sorpresa. Qualcuno poteva aver udito i gridi della vittima: da un momento all’altro zio Cosimo o don Simone o donna Rachele potevano apparire sull’uscio e domandarle che cosa succedeva...
Ella ascoltava e ogni tanto volgeva il viso spaurito, guardando verso l’uscio. Ma il silenzio della