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carezzò; le prese il mento, le strinse la gola... Davanti a lei balzò una figura gialla, con due occhi ardenti e una lunga barba grigia fra i cui peli umidi s’apriva una bocca nera e contorta. Era zio Zua. Egli la strangolava.

Ella si svegliò, piena di terrore, e rimase lungo tempo immobile, vinta da uno spavento indicibile. Finalmente potè alzarsi e andò ancora a spiare dietro l’uscio. Le figure dei sei poveri erano sparite: il vecchio dormiva, con le spalle e la testa abbandonate sui guanciali, e le mani sul lenzuolo. Il suo affanno s’era calmato: egli stava così immobile e quieto che pareva morto. Sola cosa viva, in quella camera sepolcrale, era la fiammella del lumino che pareva si fosse nascosta da sè dietro l’uscio.

Annesa entrò, s’avvicinò al letto, guardò il vecchio. Un momento, un po’ di forza, un po’ di coraggio e tutto era finito...

Ma la forza e il coraggio le mancarono: ella provò un senso di gelo, fu assalita da un tremito e le sue dita si contrassero... No, ella non poteva, non poteva. In un attimo mille pensieri le ritornarono in mente; dal fondo della sua coscienza salirono mille voci dimenticate, una fiammella brillò nella sua anima morta, simile al lumicino che rischiarava la grande camera lugubre.

— Non uccidere. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te...

Ella ritornò in cucina, aprì la porta e uscì nel cortile. Allora si accorse con meraviglia che l’ura-