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126 | l’edera |
gia fecero correre la gente di qua e di là: ella ai trovò quasi sola in fondo alla straducola che conduceva alla casa dei suoi benefattori, e s’avviò correndo.
Era quasi buio. Donna Rachele, sperando che Annesa tornasse presto dalla fonte, era andata con Rosa alla novena. La casa deserta era animata solo dal gemito del vecchio asmatico, quel giorno più cupo e agitato del solito. La luce metallica dei lampi inondava ogui tanto la camera buia, l’andito silenzioso.
Annesa depose la brocca, sempre stringendo nel pugno il biglietto; poi uscì nel cortile e lesse a stento il triste messaggio: «Ricordati ciò che ti dissi prima di partire...» Un lampo terribile, un tuono fragoroso riempirono di terrore il cielo: ella credette che il fulmine fosse piombato sopra di lei, sul suo capo, e gemette come gemeva il vecchio.
— Egli non ha trovato... Egli si ucciderà. Questa volta... Questa volta è davvero. Fra due, fra tre giorni, quando non ci sarà più speranza, egli morrà. È così...
Un nuovo rombo formidabile, il bagliore azzurro d’un lampo, un altro tuono ancora, riempirono il cortile di luce e d’orrore: la pioggia scrosciò furiosa. Ella rientrò in cucina e appoggiò la fronte alla porta chiusa, pensando che se Paulu a quell’ora viaggiava doveva bagnarsi tutto. E per alcun tempo questo pensiero l’inquietò più che la minaccia del biglietto: un tremito nervoso l’agitava tutta; le pareva di sentir la pioggia scorrerle