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la casa e la tanca; così tutto si accomoderà. Ma, per amor di Dio, non parlarne con nessuno, nemmeno con Annesa.

— Andiamo, Rosa, — disse poi alla bambina. Faremo ripetere la canzonetta.

Quando la vedova entrò, portando l’arrosto, tutti si accorsero che ella aveva mutato aspetto: una gioia quasi febbrile le animava lo sguardo, parole di amore e di dolcezza le uscivano dalle labbra lievemente colorate. Anche Annesa s’accorse dell’eccitazione di donna Rachele, ma l’attribuì al piacere quasi mistico che la santa donna provava nel servire i poveri; e la sua tristezza e la sua irritazione crebbero. A momenti anch’ella pensava male dei suoi benefattori, come ne pensava male il vecchio infermo. Sì, davvero, faceva rabbia vederli così incoscienti e allegri alla vigilia della loro completa rovina. E Paulu che non tornava! Dov’era egli? Il pensiero di Annesa lo cercava, lo sentiva, lo seguiva, per l’immensità deserta delle tancas, attraverso i sentieri melanconici, sotto quel cielo cupo e minaccioso che anche sopra di lei, sopra la sua testa dolente, pareva pesasse come una volta di pietra.

I commensali parlavano di Niculinu il cieco.

— Dice che da qualche tempo a questa parte gli pare, in certi giorni, di veder come un barlume lontano. Fino all’età di tre anni egli non è stato cieco: lo è diventato dopo una grave malattia. Ultimamente è andato alla festa del Redentore, a Nuoro, e crede di riacquistare lentamente la vista. Non è vero, Niculinu?