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— Che verrà a vedere?

Ma l’asmatico s’era già pentito delle sue parole, e non volle dire altro.

— Quante mosche. — disse, scuotendo lentamente la mano intorno al cui polso teneva il rosario. — Che brutta giornata! Quando fa questo caldo afoso, soffro tanto: ieri notte credevo davvero di soffocare. E quell’asina di Annesa... buona anche quella!... Mala fada la jucat!1 Mi guardava come se avesse voluto... Ah, ecco che vengono...

Qualcuno entrò: s’udì nell’andito il riso melanconico di Rosa. Ed ecco la testa enorme, gli occhi vivi e il vestitino rosso e azzurro della bimba: e dietro di lei il vestito nero, il bastone, il berretto di don Simone.

Il vecchio nobile sembrava più allegro del solito, scherzava con la bambina, tirandole la cocca del fazzoletto che le avvolgeva la testa, e dicendole infantilmente:

— Avanti, puledrina. Cammina.

Zio Zua lo guardò con disprezzo.

Poi giunsero gli altri invitati, dei quali uno solo era giovanissimo, cieco sin dall’infanzia. Don Simone sedette a tavola coi poveri, cosa che non aveva fatto mai, e volle Rosa al suo fianco.

— Donna Rachele, — gridò, scherzando, — siamo pronti. Avete sbagliato il numero, però, quest’anno: invece di sei avete invitato sette poveri; anzi sette e mezzo.

  1. Mala fata la guidi!