Pagina:L'edera (romanzo).djvu/12

10 l’edera


— Abbiamo ancora le trote, babbai1, e poi friggeremo delle uova. Meno male, non abbiamo ospiti.

— Eh! possono arrivarne ancora! — esclamò ziu Cosimu, non senza amarezza. — L’albergo è povero, ma è ancora comodo per quelli che non vogliono pagare!

— Avevamo le trote e non ricordavo! — esclamò don Simone, rallegrandosi come un bambino all’idea della buona cenetta. — E se arrivano ospiti ce n’è anche per loro! Sì, ricordo, per la festa arrivavano molti ospiti; c’è stato un anno che ne abbiamo avuti persino dieci o dodici. Ora la gente non va più alle feste, non vuol sentire più a parlare di santi...

— La gente ora è povera, Simone mio; vive lo stesso, anche senza feste.

— Anche la lepre corre sempre, sebbene non vada in chiesa, — disse il vecchio nobile, cominciando a irritarsi per le contraddizioni di ziu Cosimu.

E mentre i due nonni continuavano la loro discussione, donna Rachele attraversò l’andito ed entrò nella camera in fondo, attigua alla cucina.

L’ultimo barlume del crepuscolo penetrava ancora dalla finestra che guardava sull’orto. Mentre donna Rachele si levava e piegava lo scialle, una voce dispettosa disse:

— Rachele, ma potresti accenderlo, un lume! Mi lasciate solo, mi lasciate al buio come un morto...

  1. Babbo.