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110 | l’edera |
dergli con famigliarità, come se l’avesse atteso certa del suo ritorno, provò un impeto di disgusto. No, no, egli non le avrebbe domandato mai i denari.
— Ah, — disse Zana, prendendo per la briglia il cavallo di Paulu, — lei non ha dimenticato il resto, a quanto vedo.
Spinse il portoncino attiguo alla porta e introdusse il cavallo nel cortiletto: Paulu la lasciò fare; la seguì, si levò lo sprone, ma non pareva disposto a scherzare.
Zana invece sembrava allegra: non era più la vedova compassata e seria che vendeva i lucignoli nella botteguccia o serviva decorosamente gli avventori nella retrobottega: era una donna bella e giovane, che da tre giorni pensava agli occhi dolci e allo sguardo languido del nobile amico di don Peu.
— Son sola in casa, — disse, dopo aver legato il cavallo. — La serva è andata a lavare. Non ho preparato niente: bisogna quindi che lei abbia pazienza.
Era quasi mezzogiorno: il silenzio tragico dei giorni annuvolati regnava sul paesetto, sul cortile, sulla casa della vedova.
Paulu entrò e sedette davanti alla tavola apparecchiata, sulla quale stava ancora la carta da musica: dalla parete color sangue coagulato il brigadiere guardava, ancor più pacifico del solito, nella penombra silenziosa di quel giorno velato e caldo.
Paulu mangiò poco e bevette molto: e più beveva più gli pareva che la sua mente, annuvolata