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l’edera 103

Non sono un miserabile; son disgraziato ma non disonesto. Forse non sposerò mai questa donna, ma non l’abbandonerò mai...

— Perchè non puoi sposarla? È povera?

— È maritata, — disse Paulu, per non far sospettare di Annesa. — Io le ho voluto sempre bene, fin da bambino, ma la fatalità ci ha separato. Io presi moglie, poi quando rimasi vedovo rividi la donna. In quel tempo, per il mio lutto, ero costretto ad una vita triste, casta. Non potevo divertirmi, non avvicinavo donne. Un giorno mi trovai solo con la mia amica, in campagna. Io l’avevo sempre rispettata, e speravo di non lasciarmi vincere mai dalla passione. Ma il desiderio fu più forte di me, mi vinse, mi accecò. E ciò che fu peggio, la donna non aspettava che un mio cenno per darsi interamente a me. Anche essa mi aveva sempre amato: mi si avvinghiò, si strinse a me come l’edera alla pianta. Io non la lascierò mai... fino alla morte...

— Ah, Paulu, Paulu! — disse Ballore sospirando. — Ecco il tuo guajo: tu sei stato sempre debole.

— E tu credi che io non lo sappia? Lo so, purtroppo, — continuò Paulu, eccitato, ricordando ancora le lagrime infantili che aveva versato durante l’ora della novena. — Io sono un bambino, e capisco che la mia debolezza e la mia impotenza furono causa dei nostri guaj: e più che questi guaj mi accora appunto il vedermi così, sempre debole, sempre fanciullo. Io ho sbagliato strada,