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122 MODESTIA.

Che l’occhio suo. d’ottici vetri armato,
Primo scovriva; ed abbenchè l’ignuda
Pupilla invan lo ricercasse, pure
Una ignota dolcezza in cor del Sofo
Dal gentil vagheggiato astro piovea.
Pur, questo è il ciel di Piazzi, è questo il sole
Che riscaldò quelle sovrane fronti.
Questi gli ameni colli e le ospitali
Soglie, non mai chiuse al tapin, son queste:
Ma più non veggo l’onorata schiera
Che le abitava un dì; mute e deserte
Indarno aspettan le marmoree sale
Il signore del loco. . . . .1»

Modesto e giusto apprezzatoli della scienza, schivava soprattutto di parlarne in privato, ed era persino difficile aprire il discorso a cose di astronomia; e quando per ragioni di urbanità o dovere il faceva, usava modi sì delicati e dicevoli che, chi ci aveva interesse non se ne avvedendo, credeva d’indovinare anzi che seguire i suoi ammaestramenti. Era arte di animo nobile e gentile, la quale però rimaneva inerte dinanzi le imprescioscità ignoranti e le importune prosopopee. Onde, quando gli capitavano di certi saputelli i quali, intesi esclusivamente al proprio vantaggio, non si peritavano di disturbarlo per discutere e sentenziare su materie, delle quali pensavano poi avocarsi il merito esclusivo; egli allora, trovandosi alle strette, ricorreva all’arma che in simili casi non fallisce mai, il silenzio: e così la mediocrità presuntuosa era punita a dovere.

  1. Scritti vari, vol. I: Palermo, tip. del Giornale di Sicilia, 1870.