portuna mano gridava: misera alla vita mia, io sono disfatta: la paura e la fretta insieme m’hanno ingannato, e la simiglianza de’ bossoli: ma manco male è, posciachè egli con agevol medicina si potrà medicare; imperciocchè come tu n’avrai più tosto morsecchiato parecchie rose, tu lascerai d’esser asino, e ritornerai nel mio bello Agnolo: e Dio volesse che così come io soglio, io ne avessi colto iersera qualche ghirlandetta, che non patiresti disagio pur d’una sola notte: ma come prima egli apparirà il dì, sta di buona voglia, che io preparerò la medicina. Così parlava ella piangendo; e io, ancorachè fussi asino interamente, e in cambio d’uomo una bestia, nientedimanco riteneva il senso umano; e però pensava fra me, se io doveva co’ calci e co’ morsi ammazzare quella tristissima femmina: dal qual pensiero temerario, più sano consiglio mi rivocò, e considerai che castigandola col darle morte, io mi privava d’ogni aiuto e d’ogni consiglio. Perchè, abbassando il capo e scotendo, e rugumandomi così fra me la temporal contumelia, e servendo al mio duro accidente, m’inviai verso la stalla del mio cavallo, dove era eziandio un altro asino, il quale era di Petronio ospite per l’addietro: ed estimava che se alcun tacito e natural sagramento era fra i muti animali, che quel mio cavallo, riconoscendomi, mosso a misericordia mi dovesse dare spazio nel più netto e miglior luogo di quella stalla. Ma, o Rettor dell’universo, e segreta divinità della Fede! quel gentil mio palafreno, accordato coll’asino a’ miei danni, temendo che io non togliessi lor la biada, appena mi vidono approssimare alla mangiatoia, che rizzando le orecchie, che prima erano languide e penzoloni, mi diedero parecchie coppie di calci delle cattive, e cacciaronmi un pezzo lontano da quell’orzo, il quale aveva dato io colle mie mani a quel mio valente corsiere la sera dinanzi. Laonde, mal condotto, tutto solo me ne andai là in un canto della stalla: e mentre che tra me stesso io ripensava la insolenzia de’ miei compagni, e deliberava che venuto il giorno,