ad abbruciare: allora allora per la podestà di quell’arte, e per una vecchia violenza di demoni costretti da lei, quegli otri, de’ quali fummavano gli peli, si empieron di spirito, e andarono; e dove gli traeva il puzzo delle loro spoglie, là oltre forzatamente se ne vennero; e in cambio di quel giovane, pieni di desiderio d’entrar dentro, facevano quel rovinìo dintorno alla porta; allora quando tu, altetto un po’ dianzi, e ingannato dall’oscurità della notte tenebrosa, tratto fuori il pugnale animosamente, in guisa dello stolto Aiace, non come egli già in un branco di pecore incrudelisti, ma assai più valorosamente distendesti per terra tre otri di capra; acciocchè io ti potessi senza che tu fussi macchiato di sangue, posciachè tu avevi ammazzato i nimici, abbracciar non come omicida, ma come otricida. Sentendomi io adunque beffeggiare dal piacevol parlare della mia Lucia, le dissi: Orsù, io posso adunque annoverare questa prima boria delle mie virtù a comparazione d’una delle dodici di Ercole, o vuoi quella di Gerione che aveva tre corpi, o quella di Cerbero che si trovava tre capi, avendo ammazzati tre come lui; ma come io volentieri ti rimetto quella ingiuria per la quale tu mi hai fatto stare in tanta angoscia, dammi quello ch’io vo cercando con grandissimo desiderio: mostrami la tua padrona, quando ella fa una di queste maraviglie: io ho una voglia ch’i’ mi stempero, di vedere una volta cogli occhi miei un fatto cotale. Benchè io penso oggimai, che nè anche tu ne sia ignorante: io so questo, che certamente lo provo, che essendo per altro poco vago de’ matronali abbracciamenti, tu m’hai con cotesti tuoi occhiolini sfavillanti, con cotesti capelli risplendenti, e con quella ridente bocca, con quelli amorevoli basciozzi, con quelle crude e odorose mammelle, fattomiti in modo suggetto e obbligato, ch’io ti sono schiavo, e volentieri; e dimenticatomi oggimai della mia casa, non mi curo più o pur penso di ritornarvi; nè è cosa alcuna, che io anteponessi a questa notte. Come vorrei, rispos’ella a