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DELL'EDITORE | VII |
non che Brunone Bianchi chiarì meglio la cosa. “Da un Breve, egli dice, veduto dal Canonico Moreni nel Bollario Arcivescovile di Firenze, che porta lo scioglimento di esso Firenzuola da’ voti religiosi, ed è spedito del 1526 a nome di Clemente VII dal generale vallombrosano Giovammaria Canigiani, si rileva, che il vestimento e la professione di lui non furono secondo le regole, e che dev’esservi stato alcuno di quei tanti abusi che in tal materia s’erano introdotti e si vedevano, prima che il Concilio di Trento vi provvedesse, prescrivendo termini e modi d’assoluto rigore. Imperocchè vi si allega come notabile la causa stessa del prender l’abito; si dice pretesa l’esibizione, o portamento, di quello; e vi è chiamata non legittima la professione. Dal che si potrebbe non assurdamente inferire che Messer Agnolo, qual che si fossero le circostanze che accompagnarono questo suo mal passo,.... non si mostrasse mai pubblicamente in veste di frate, nè abitasse convento; ma, pochi forse consapevoli della sua professione, si vivesse a se, sciolto d’ogni regola di disciplina, e tutto al più considerandosi come un devoto o aggregato di quell’Ordine; sinchè o coscienza, o amor di sua pace lo persuase a farsi togliere legittimamente una qualità che lo noiava, e a cui per repugnante natura non avrebbe mai saputo accomodarsi. Nè a questa opinione farebbe ostacolo il nome d’abate che in diverse antiche scritture gli è dato; chè non sempre siffatta appellazione importa governo di religiosa famiglia; ma spesso non è che un titolo beneficiario, o di commenda. E tanto è ciò vero, che il Papa dichiara nel suo Breve non volere che sia impedimento a dispensar con lui, si quo tempore monasterium aliquod dicti Ordinis in titulum, vel com-