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libro primo 29

io mi condussi a quella sua tavoletta: e mentre che noi quivi ci sedevamo, egli mi dimandò come Silvio la facesse, quello che fusse della moglie, e come stavano i suoi figliuoli. Io gli risposi a ogni cosa quanto egli accadeva. Perchè egli mi prese più minutamente a dimandare della cagione del mio viaggio. Ed io gliel dissi più minutamente. E ridomandandomi e della nostra patria, e di que’ primi cittadini, finalmente egli s’accorse che io era pur troppo stracco del camminare, senzachè egli mi rompesse più il capo con quella lunga diceria delle sue favole, e che già tutto sonnacchioso non profferiva la metà delle parole, ed assai bene spesso li diceva di sì, quando io avrei avuto a dir di no: per la qual cosa egli si contentò che io me ne andassi a dormire. Scapolato adunque da quello affamato convito, ma garrulo e loquace, di quel rancido vecchio, gravato non di cibo ma di sonno, anzi pasciuto solo di favole, ritornato camera, mi misi a dormire.


LIBRO SECONDO


Come più tosto dopo la partita della notte il nuovo Sole ne rendè il giorno chiaro e luminoso, toltomi e dal sonno e dal letto, sollecito e soverchio desideroso conoscitor delle cose rare e degne di maraviglia, e pensando intra me d’esser nel mezzo di Bologna, dove per detto d’ognuno come in proprio prato fioriscono gl’incantamenti dell’arte magica; e ricordandomi della novella del mio buon compagno nata entro al seno di quella città, coll’animo tutto sospeso, con un gran disio e con una straordinaria diligenzia io andava considerando ciò che mi si parava davanti. Nè fu cosa in quella città, che veggendola io mi potessi persuadere