sta notte sono paruti vedere i più brutti spettacoli e più crudeli che tu possa mai immaginare; e parmi ancora esser tutto bagnato e contaminato di sangue. A me non è paruto sogno, disse egli poichè io tacqui, al quale sono state segate le vene; perciocchè e la gola mi dolse, e parvemi proprio ch’e’ mi fusse schiantato il cuore; e pure anche adesso mi sento mancar lo spirito, e triemanmi le gambe sotto, e non posso muovere i piedi, e volentier mangerei un pochetto, per vedere se io mi potessi niente riavere. Ecco, dich’io allora, ch’io ti ho apparecchiato la colezione. E questo dicendo, mi levai la tasca dalle spalle, e diedigli del pane e del cacio, e dissili: Sediamoci qui appresso a questo platano; e così facendo, ancora io mi misi a mangiare un poco: e vedendol mangiar così avidamente, io gli scorsi cert’ossa indentro, con un color di bossolo così fatto, che tuttavia mi pareva che egli mancasse. Egli era finalmente divenuto sì giallo, che per la paura che io aveva di lui, come a chi sempre pareva avere innanzi le furie della passata notte, avendomi messo in bocca un pezzo di pane la prima volta, ancorch’e’ fusse poco, e’ mi si appiccava al palato di sorte che io nol poteva mandar nè su nè giù; e l’esser noi due soli me la raddoppiava: perciocchè chi sarebbe mai quegli che credesse, che di due compagni uno ne morisse senza colpa dell’altro? Ma egli come ebbe mangiato molto bene, cominciò affogar di sete; imperocchè egli si aveva trangugiato buona parte di quel cacio: perchè udito io un dolce ruscelletto, e chiaro in guisa che se corresse liquido cristallo, che poco di lungi dalle radici di quel platano agiatamente se ne correva, voltomi gli dissi: Perchè non va’ tu a trarti la sete laggiù a quell’acqua chiara? Ed egli subito rizzatosi, e ito verso il fiumicello, ed appostando la più bassa parte della ripa, con grande avidità di bere vi si mise carpone. Ed a fatica avea tocca colla estremità delle labbra la rugiadosa acqua, che la ferita ch’egli aveva nella gola, apertasi, mandò fuor quella spugna