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236 dell'asino d'oro

comperar quel veleno, il quale stimava lui avere poi di sua mano dato al fratel minore. Pareva molto presso all’immagine del vero quello che questo ribaldo mentiva; con tante simulazioni di paura e semplicità di parole aveva quella scellerità ordita. Nè rimase alcun giudice tanto amico al giovane, che non giudicasse doversi porre al tormento. Ed essendo già per iscritti brevi il parer d’ognuno gittar nel bossolo le fave nere e bianche; e dipoi quella sentenza non si poteva distornare, che dandosi il malfattore in mano al manigoldo, davasi esecuzione alla sentenza, quando un medico di molta integrità e autorità in quella corte, gettò la mano sopra la bocca del bossolo, coprendolo sì che alcuno non vi potesse por dentro le fave; e rivolto agli altri, così disse: Io mi allegro poter dire, cha insino a questa età sia da voi riputato buono, nè posso patire, un manifesto omicidio essere da tutti noi commesso, i quali per giuramento siamo astretti di giudicare il diritto: ma che sarà, se io solo contra l’affermazione d’un altro mi oppongo? Io però son quello che mi stimate voi, ed egli è un servo ribaldo degno di mille forche. Io so che la mia coscienza non m’inganna, e però udite la cosa com’ella sta veramente. Questo ribaldo, son già molti giorni che m’ha sollecitato ch’io gli venda veleno subitano, offerendomi in prezzo cento ducati d’oro; dicendo averne bisogno per dare ad un certo infermo, il quale cruciato il giorno e la notte da una immedicabile idropisia e da mille altri dolori, avea desiderio, la mercè della morte, uscir di tante fatiche; e voleva ch’io gliel’ordinassi: perch’io veggendo questo ladroncello andare cincischiando le parole, mentre egli cotali sue artificiose scuse ritrovava, cominciai a dubitare ch’egli non volesse fare qualche gran male, e fui per dargli commiato; ma pensando poi fra me, che se io gliel negava, ch’egli se ne andrebbe ad un altro manco avveduto di me, che ne lo compiacerebbe, io giudicai che fusse bene dargli una pozione, e gliele diedi, ma di che natura ella fusse, voi l’intenderete più