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libro nono 229

cima della casa, per intender meglio che strepito fusse questo, mi feci a una fenestra, che riusciva nella strada; nè prima mi vi fui affacciato, che uno di que’ soldati, accortosi dell’ombra mia, alzò il capo, e si mi vide. Perchè levato subito un grande schiamazzo, mi dimostrò a tutta la brigata. Levossi un grandissimo romore, ed io come prigione fui da non so che guida da quelle scale strascinato: e senza indugio alcuno, cercata più sottilmente tutta la casa, trovarono quel misero ortolano nella cesta, e nella pubblica prigione il condussero a portar pena del commesso male; ma di me ridendo grandemente si sollazzavano. Per la qual cosa nacque il proverbio che si dice, del guardar dell’ombra dello asino.


LIBRO DECIMO


Non so quello che si facesse nel seguente giorno il mio padrone ortolano, ma io fui menato via da colui che fu nella strada così maltrattato. Io era armato sopra le spalle di elmo, di scudo e di lancia, di maniera ch’io spaventai molti viandanti: e così col carriaggio del soldato addosso, per via piana e non molto aspra arrivammo ad una picciola città; e quivi non nella osteria ma in casa d’un cittadino fui consegnato a un servo per lo nuovo padrone, e n’andò prestamente a un suo colonnello, il quale avea il governo di mille fanti. Nel tempo ch’io stetti fermo in quel luogo, intesi una grandissima e scellerata cosa, la quale così come fu vera a voi la racconto.

Aveva il padrone di quella casa un figliuolo e di lettere e d’ogni altra virtù tanto eccellente, che un tale non se ne potrebbe augurare. Morta la costui madre