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libro ottavo | 197 |
egro se la fece sua: del qual danno avvedendosi quel cuoco, e incolpandone la sua negligenzia, con non giovevoli lagrime si lamentava. E accostandosi l’ora del far da cena, e il padrone sollecitandolo che egli acconciasse quel cervio, il povero cuoco, come quel che dubitava di cosa peggiore, detto addio ad un suo figliolino, e avvoltasi una fune intorno al collo, si voleva appiccar per la gola. Della qual cosa accorgendosi una sua fida mogliera, corse là; che a gran fatica giunse a tempo; e levatogli quel capestro dintorno, dopo molte altre parole gli disse: Se’ tu per una così fatta disgrazia uscito in modo del cervello, che tu voglia fare e te e me e il tuo figliuolo malcontenti tutti in un tratto? Or non vedi tu il fortuito rimedio, il quale ti mostra la divina providenzia? E però, se tu rivolti niente l’animo dagli ultimi trabocchi della fortuna, ascoltami con attenzione: prendi questo asino, che hanno in casa questi romitonzoli, e ammazzalo in qualche luogo, che tu non sia veduto; e presa poscia una delle sue coscie in vece di quella che ti è stata tolta, e preparatala con soavissimi sapori in pasticci alla spagnuola, e in quegli altri modi che meglio ti parrà, la porterai al padrone; il quale se la mangerà non altrimenti che se fusse cervio. Piacque a quello imbriaco cuoco la sua salute per la morte mia; e lodando insino al cielo la sagacità di quella maladetta femmina, prese un suo coltello, e cominciandolo ad arrotare, si metteva a ordine per far la deliberata uccisione.
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