Pagina:L'asino d'oro.djvu/209


libro ottavo 193

cominciarono a beffeggiare il loro maestro: che egli non aveva menato un servo, ma un suo marito, e che e’ guardasse a non si goder da sè stesso così bel giovanetto, ma che alcuna volta e’ ne fesse partecipe le sue colombine. E queste e altre simili ciance dicendo, io fui legato appresso ad una mangiatoia. E un certo giovane, il quale, fuori sonando una sua viola, accompagnava alcun di loro che cantava in banca, e in casa faceva copia del corpo suo; come più tosto mi vide nella stalla, datomi da mangiare abbondevolmente, tutto allegro mi diceva: Tu se’ finalmente arrivato, successor delle mie fatiche; vivi adunque lungamente e in grazia de’ miei padroni, e porgi aiuto a’ miei oramai debili fianchi. Le quali parole udendo io, come colui che da lunge prevedeva le fatiche mie, meco stesso della mia disgrazia mi lamentava. Nè vi andò molti giorni, che parendo a’ miei padroni il tempo accomodato di fare la lor vendemmia, messisi in arnese di tutto quello che a gravi e buoni religiosi fusse convenevole, e desti i breviari e i paternostri, che già avean dormito un pezzo, e messo sopra di me il tabernacolo del baron santo Antonio, e preso lor privilegj e scar-