Pagina:L'asino d'oro.djvu/190

174 dell'asino d'oro

solo rimedio che mi era restato: e questo fu, che io le sparsi nel volto un poco d’acqua non molto chiara, ch’io mandai fuora del mio liquido ventre, e imbrattaila tutta quanta; sicchè fra ch’ella non vedeva più lume, e ch’e’ le fu convenevole fuggir quel puzzo, io mi levai daddosso quella peste; altrimenti, un asino, come Meleagro, sarebbe certamente morto per lo dolor del tizzone della impazzita Altea.


LIBRO OTTAVO


Passata che fu la mezza notte, un giovane, e secondochè egli mi parea, servo di quella fanciulla che meco appresso de’ ladroni aveva sopportate tante fatiche, arrivò alla casa di quei pastori; e postosi a sedere fra loro intorno al fuoco, e narrando cose terribili, e della morte di lei, e della rovina di tutta la casa, diceva: O guardiani di cavalle, o pecorai, o bifolchi, noi avemo perduta la sventurata Carite, e per crudelissimo accidente, e non senza compagnia se n’è ita alla casa del negro Plutone: ma acciocchè voi sappiate puntualmente come son passate le cose, io mi voglio far da capo, e narrarvi il fatto tutto intero; sicchè gli uomini dotti, a’ quali ha somministrato la natura un bello stile, possano vergar le carte con questa storia.

Egli era in una nobile città a noi vicina un giovane d’alto legnaggio, e de’ beni della fortuna abbondantissimo; ma dato a stare tutto il dì fra sgherri e ladri su per le taverne, e fra le meretrici a mangiare e bere, e lussuriare, e talora ad imbrattar le mani eziandio col sangue umano; ed era da tutti chiamato Scannadio; sì e ’l nome di lui e la fama facevano fede dell’opere sue. Era costui innamorato di Carite, sinch’ell era picciola fantina, sì ferventemente, che egli non aveva mai bene,