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libro settimo 163

discorrere come ben mi venisse fra i branchi delle cavalle; imperocchè, oltre a che egli mi darebbono grandissimo sollazzo, egli riempierebbono col mio generoso concubito la mandria di molte bellissime mule. Perchè, fatto chiamare il pastore delle cavalle, eglino me gli assegnarono con grandissime raccomandazioni; e gli dissero che me ne menasse. E certamente ch’io me n’andava tutto contento, estimando che oltre a ch’io sarei esente dal someggiare e da tutte l’altre fatiche, essendo libero di me, avrei al principio della primavera sopra delle pungenti siepi ritrovato delle fresche rose; e spesso diceva così da me: O s’egli è stato renduto tante grazie e fatti tanti onori al mio asino, or non me ne sarà egli, come più tosto io abbia ricevuta la forma umana, rendute per ogn’un cento? Ma quanto fu lungo il successo dalla speranza! imperocchè come quel pastore m’ebbe tratto fuori della città, io non gustai carezza alcuna, nè mai seppi di che sapor si fusse la libertà; anzi subito che la sua moglie, ch’era la più avara e la peggior femmina di quelle contrade, mi ebbe veduto, ella mi mise a far girare la macine d’un mulino a secco, ch’ell’aveva; e trovandomi del continovo con un buon bastone, provvedeva colla mia pelle il pane a sè e a tutti i suoi. E non le bastava d’affaticar me per lo bisogno di casa, che ella macinava ancora a prezzo al vicinato; e a me poverello non era pur dato per premio di tanta fatica l’ordinario del mangiare; chè quella perversa femmina vendeva a’ lavoratori della contrada l’orzo macinato col sudor mio, e a me non toccava altro che là in sulla sera un poco di crusca piena di sassi, di terra, e di mille ribalderie. Nè fu contenta la crudel Fortuna d’avermi messo sotto a tanto martoro, ch’ella mi mise in assai maggior travaglio, acciocchè esercitandomi, come dicon costoro, in casa e fuori, egregiamente io adornassi il nome mio con una perpetua gloria. Quello valente pastore adunque divenuto, ma un poco tardi, ubbidiente al suo padrone, mi mise nella mandria delle cavalle: laond’io, che mal sapeva