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libro quinto | 125 |
avendo dette queste parole, tutta infuriata, tutta tinta, tutta in collora se n’usci fuori. Allora Cerere e Giunone accompagnandosi con lei, veggendola così conturbata, la presero a domandare qual fusse la cagione, che con sì brutto piglio ella adombrasse la venustà de’ suoi occhi scintillanti. Ed ella: A tempo veramente venite a far violenza al mio ardente petto, per volermi mitigare il giusto sdegno: deh perchè non piuttosto con tutte le vostre forze mi ritrovate voi quella volatile e fuggitiva Psiche? io so ben che egli non vi è nascoso la pubblica favola della casa mia, e l’egregie opere del mio.... anzi nol voglio chiamar più il mio figliuolo. Allora elle, disiderando spegnere in parte cotanta ira, così le dissero: E in che cosa, dicci, padrona nostra, ha fallato Amore, che con ostinato animo tu ti opponi a’ suoi piaceri e desiderj, per rovinar la sua innamorata? per che cagione gli abbiamo noi attribuire a peccato lo aver con suo diletto risguardato una bella giovinetta? Or non sai tu che egli è maschio, e che egli è giovane? se’ ti tu già dimenticata degli anni suoi? e perchè egli ne porti così destra la sua persona, nè barba copre le sue tenere guance, hatti egli però a parere sempre un fanciullo? Tu gli se’ madre tu, e se’ donna astuta e sagace: e spierai tu dunque sempre mai i sollazzi del tuo figliuolo, e in lui dannerai la lascivia? in lui riprenderai gli amori e l’arti tue, e biasimerai le tue delizie in così bel fanciullo? Chi dunque degl’Iddii, chi degli uomini ti potrà oggimai più sofferire? la quale vai per ogni canto i tuoi desiderj seminando, e or non vuoi che in casa tua amino gli Amori, e serri la pubblica bottega de’ presenti delle donne. In questa guisa prestavano il lor patrocinio le due Iddee, per tema delle sue saette, a Cupidine, ancorchè e’ fusse assente. Ma Venere veggendo prendersi altrui in giuoco le ingiurie sue, posciach’elle fur partite, sdegnata più che mai, con velocissimi passi di nuovo se ne prese la via verso l’Oceano.
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