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libro quinto 111

ste sopra dello scoglio colle spaventevoli voci elle faranno i sassi rimbombare. E Psiche allora, singhiozzando, che appena s’intendevan le sue parole, rispose: Tu hai veduto già più tempo fa, per quanto io mi do ad intendere, la esperienza della mia fede e delle mie poche parole, nè per lo avvenire sarà da te manco approvata la fermezza dell’animo mio; e però comanda di nuovo al nostro Zeffiro, che usi con loro il medesimo uficio dell’altra volta; e invece del tuo negato sacrosanto cospetto, lasciami fruire la vista delle mie sirocchie; e per questi tuoi d’ogni intorno odoriferi e scherzanti capelli, per le tenere e ritondette guance, e in ogni parte simili alle mie, se io almeno in questo pargoletto riconosca la immagine tua, pregato dalle pietose parole della supplice e affannata tua donna, consentile il frutto de’ sirocchievoli abbracciamenti, e ricria l’anima della tua divota e obbligata Psiche: nè altro più ricerco io del tuo bel volto, nè mi dan più noia le notturne tenebre, purch’io tenga te mio lume e mio splendore. Da queste e altre simili parole e dolci abbracciamenti incantato lo innamorato marito, rasciugando le di lei lagrime co’ suoi capelli, fu forzato prometter ciò che ella desiderava. E poscia, anzi che le stelle avessero reso al sole il lume loro, partitosi Amore, lasciò Psiche soletta, come era usato, entro al suo letto. In questo mezzo le due concordevoli sorelle, senza pure aver fatto motto al padre loro, montate in nave, senza aspettar buon vento altrimenti, per forza di remi, per la più corta drizzarono le navi verso il nominato scoglio; e arrivate ch’elle furono, non iscordatosi Zeffiro del regale comandamento, presole nel grembo della spirante aura, ancorchè contro a sua voglia, le pose appiè del bellissimo palagio. Ed elleno senza alcuna dimora entratesene dentro, abbracciando e baciando la lor preda, e ricoprendo il seno delle lor frode col mentito nome della sirocchia e con allegro volto, così l’andavano adulando: O Psiche nostra, non fanciulla più oramai ma donna, posciachè tu se’ madre, quanto nostro