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LIBRO QUINTO
Avendo Psiche disgombrata un poco la mente di tanti travagli, e riposandosi sopra al fiorito seno delle tenere erbette del soave luogo, un lieve sonno allagò le stanche membra di quello obblio, che discaccia in buona parte le tante cure de’ miseri mortali. Dal quale, posciachè ell’ebbe preso un convenevol ricriamento, con più riposato animo risvegliatasi, e’ le venne veduto un verde boschetto di natii e grandi arbori tutto ripieno, entro al quale con cristalline acque sorgeva una fontana, e nel mezzo del fronzuto bosco vicino al corso delle chiare onde della bella fonte nasceva un reale e magnifico palazzo, non da terrestri mani certamente ma da divine arti edificato; nè sarebbe alcuno, che nella prima giunta non giudicasse che così ricco e così bello edificio non fusse d’un grande Iddio. Imperciocchè, lasciamo stare che agli altissimi palchi, intagliati maestrevolmente di avorio e di cedro, sottentravano colonne tutte d’oro massiccio, ma le mura erano di finissimo argento ricoperte; entro alle quali si vedeano animali quasi d’ogni ragione, che pareva che si facessero incontro a qualunque arrivava in casa, intagliati con tanta maestria, che si poteva giudicare che uomo certamente ingegnoso e grande, anzi un semideo, anzi uno Iddio, fusse stato quello che con sì sottile intaglio avesse lavorato quello argento. I pavimenti erano di musaico di finissime pietre e di gioie sottilmente commesse, per le cui commettiture apparivano figure maravigliose: beati veramente si potevan dir coloro ben mille volte, a’ quali era concesso il calpestare i pendenti e le maniglie, come noi facciamo le pietre o i mattoni. Le altre parti della casa, le quali erano senza numero, erano state da buono architettore