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RAGIONAMENTO 83

qualche alterazione nel sestante e nell’oncia. II sestante della Tavola III. n. 7. o richiama un’altra serie, o più probabilmente corrisponde a quella del corno d’abbondanza e della tenaglia. Più probabile è questa seconda corrispondenza, perchè dove qui il sestante è senza lettere, nell’esemplare della Tavola V. delle Incerte ha l’epigrafe tutta intera. La quale varietà dallo scritto al non scritto esser potrebbe un avviso, che anche quel ramo di palma non sia che una semplice varietà del corno d’abbondanza, come altresì che il grappolo d’uva dell’oncia equivalga anch’esso al medesimo corno, ciò che argomentasi dall’oncia della Tavola di supplemento. Da queste diverse osservazioni potrebbe conchiudersi, che le tribù iguvine, le quali ebbero moneta propria, furono forse cinque, e che tutte forse ebbero il costume di ripetere le imagini nell’asse, semisse, triente e quadrante, con piccole variazioni nel sestante e nell’oncia; e rispetto all’epigrafe coll’arbitrio di scolpirla o di ometterla. Le Tavole X. e XI. della classe III. per ciò che spetta alle variazioni delle impronte, mostrano all’occhio quel che noi per ventura non sappiamo qui con bastevole chiarezza significare a parole.

A queste indicazioni aggiungeremo l’altra de’ luoghi dove ci pare meno improbabile che fossero collocate le cinque officine della moneta iguvina. Iguvio stesso o Gubbio, che doveva essere come la metropoli degli altri; i due Tiferni e principalmente il Tiberino, dal quale son provenute una buona parte di quelle monete che possediamo; Nocera, Assisi o forse Arna. La nostra Tavola geografica e la cognizione che abbiamo di quella parte dell’Umbria, ci presentano quelle genti come le più degne di cosi bella gloria.

Ci siam fatti arditi di annunziare che le monete iguvine manifestano nell’Umbria una confederazione di municipj o città diverse somigliante in diverse cose alla confederazione delle città latine. Per quanto i latini tra loro si distinguano per diversità d’imagini e di simboli, contuttociò le lor monete hanno tutte un vincolo che mirabilmente annoda quelle d’una città a quelle d’un altra. Diverse anche più che le latine sono, sotto un certo aspetto, le impronte iguvine: eppure la medesima epigrafe, che senza la minima alterazione si ripete in quelle loro diverse città ne è certa prova, che non sono eglino se non una sola e medesima gente. Sappiamo che come i latini su la cima del più elevato tra’ loro monti si raccoglievano ne’ giorni delle loro ferie ad onorar in un tempio a tutti comune quel Giove, a cui dato aveano il proprio nome di Laziale, cosi gl’iguvini, che giovini anche si dissero, forse per la particolar loro divozione a Giove, alzato aveano su d’un de’ più alti loro apennini un tempio, ove nelle loro feste accorrevano ad ossequiarlo sotto il titolo di Giove Apennino.

Non ometteremo un altro fatto, da cui apparirà forse anche più probabile il legamento degl’iguvini co’ latini. Nella terza tavola eugubina, scritta in caratteri latini, si leggono tra le altre queste parole, AGRE TLATIE PIQVIER MARTIER, le quali in lingua più colta suonano, secondo il Lanzi