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70 PARTE SECONDA CL. I.

monogramma. Or chi vorrà a buona ragione obligarci a contare fra le monete di quella età questa di cui discorriamo, su la quale in sì gran rilievo v’è scolpito il nome di ROMA ?

Ma noi l’escludiamo eziandio dal novero delle romane. Abbiam veduta Roma fondere la sua moneta da’ tempi prossimi quasi alla sua origine fino a che l’asse era disceso sotto il peso delle due oncie. In tanta lunghezza di tempi Roma non alterò mai le sue impronte, né mai loro aggiunse l’iscrizione del suo nome; quantunque in una parte di questo tempo non mancasse mai di scolpirvelo sopra le sue monete coniate. E perchè vorrem noi credere romana la presente moneta, la quale è fusa, è scritta, ed è in amendue le faccie mancante delle vere impronte del bronzo romano.

Ella è opinion nostra, che qualcuna delle città del Lazio nuovo, e forse quella medesima dove coniavasi il bifronte in oro, elettro ed argento, fondesse questa nobilissima moneta in quel tempo medesimo, in cui coniava le altre con epigrafe in tutto eguale. La ragione di questa singolarità era il commercio con Roma, la quale in que’ tempi facea correre per le mani de’ trafficanti i suoi decussi, tripondj edupondj. Questa moneta, uscita fortunatamente dalle terre latine, e venutaci alle mani nella primavera dello scorso anno, eguaglia il peso de’ maggiori tripondj romani: una seconda publicata dal De Zelada, e che non abbiam trovata tra quelle ch’egli quivi lasciò, eguagliava il peso dei tripondj romani minori. Forse ne’ traffici comuni si prendevano a vicenda questi per quella, e quella per questi. Questa interpretazione medesima noi daremmo al decusse con l’epigrafe ROMA publicato dall’Arrigoni, con la sola differenza, che portando questo la nota del valore scolpita sopra di se, lo vorremmo riconoscere proveniente dalla officina di Tivoli, la quale sola tra le ristabilite nel Lazio nuovo, ripigliò l’antica distribuzione delle libre e delle oncie. I tusculani adoperarono un’impronta tutta propria della nuova loro cittadinanza. Rappresentarono Roma prossima ad acquistare l’impero di tutta Italia simboleggiata nel bue. I tiburtini effigiarono la Venere frigia accompagnata alla vittoria de’ romani loro concittadini.

Nella Tavola di supplemento sotto l’ultima linea della parte sinistra ai numeri 1. 2. e 3. abbiam fatte disegnare tre antiche monete coniate onciali coll’epigrafe ROMA. La prima è un dextans col segno del semisse, che equivale a sei, e le quattro palle, che portano la moneta al valore di dieci oncie: le impronte sono la testa di Cerere e una vittoria in quadriga. La seconda è un triente con la medesima testa di Cerere e Giove che su la quadriga tiene il luogo della vittoria. La terza è un quincunce con la testa d’Apollo e i dioscuri a cavallo. Le abbiam qui collocate per avvisare gli studiosi, che stiamo facendo sopra di loro e sopra parecchie altre somiglianti un qualche studio. Finora possiam quasi dare per certo che non hanno una giusta relazione con la nostra provincia: anzi il quincunce, come diremo altrove, è forte argomento, che la moneta sia oltramontana ed adriatica, e la