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58 PARTE SECONDA CL. I.

abitatori, se pure il luogo ne avesse avuti: «Sabinos vovisse diis, se fructus ejus anni consecraturos, potitosque victoria immolasse partim, partim consecrasse ejus anni proventus, eoque anno editos filios Marti nuncupasse, quumque ii virilem attigissent aetatem, duce tauro ad coloniam alicubi condendam emisisse: taurum in Opicorum regione procubuisse; missos, his expulsis, ea loca insedisse». Non sappiamo, se presso qualc’altro scrittore antico si rinvenga, che il cavallo altresì prestato abbia mai a quelle genti un somigliante servigio. Ma anche dell’ irpo il sappiamo per la incidenza della parola Irpini tra quelle annoverate da Festo: come del bue il conosciamo per ii fatto particolare narratoci da Strabone. Noi lo crediamo tanto più volentieri, quanto più oscura ci rimarrebbe altrimenti la interpretazione di questo animale non pure qui, ma e in parecchie altre monete italiche, nelle quali gli autori delle impronte di null’altra cosa si mostrano più solleciti, che di significarci le prime loro origini. Stimiamo adunque, che ne’ rovesci del semisse, del triente e del quadrante abbian voluto gli ardeatini indicarci le diverse colonie uscite dalle loro terre, quali dietro la guida del toro, quali del cavallo o dell’irpo. Osiamo anzi avvisare que’ numismatici, che di proposito si occupano della illustrazione delle monete urbiche dell’Italia nostra, che non sempre forse quel toro, detto cornupeta da loro, giuoca col corno, non sappiam contro chi; ma che singolarmente col movimento delle gambe pare ne additi il taurum procubuisse di Strabone. Guardisi al costume tanto posteriore delle romane colonie: queste vi scolpivano il rito proprio, un aratro, aggiogativi sotto un bue ed una vacca.

La testuggine del sestante pare della specie medesima di quelle che anche al presente tanto abbondano nel paese de’rutuli. Ma qui la crediamo scolpita con fine diverso da quello di significare cotale abbondanza, quantunque questo fine ci sia ignoto.

Nelle due monete coniate da’ rutuli nel risorger che fecero dalla servitù alla cittadinanza di Roma, osservino gli studiosi con quanta diligenza si volle ricopiata la Venere frigia dell’asse e del dupondio primitivo. Il carattere che qui questa dea presenta non potrà mai confondersi con quello della Venere frigia de’ due primi assi latini. La piccolissima moneta in bronzo porta nel rovescio il cane del sestante fuso; ed anche qui la copia non potrebb’essere più somigliante all’originale. Nella moneta d’argento la vittoria s’accompagna alla Venere; della qual compagnia non è da prendersi alcuna maraviglia quantunque la vittoria non siasi veduta mai né in moneta primitiva de’ rutuli, né in quella de’ latini o degli altri, a cui spettano le altre serie di questa prima classe. La vittoria era già in questo tempo stampata sopra i vittoriati di Roma ed era pure insegna romana la lupa che allatta i gemelli. I romani del nuovo Lazio levarono anch’essi questa doppia insegna, l’una forse in Ardea, e l’altra in un’altra città celebre non meno che Ardea, di cui in appresso parleremo.