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54 | PARTE SECONDA CL. I. |
pronta a quella dell’altro, senz’alcuna gelosia. Agli antichi confini municipali era succeduta l’ampiezza e la grandezza della cittadinanza romana. Perciò nello stabilire il modo della nuova loro moneta, pare si obbligassero verso i romani a non adoperar le primitive loro appellazioni, che non avrebbono avuta più una vera significazione, ma a scolpirvi sopra la vera città a cui appartenevano, ROMA, e il vero diritto di che godevano, ROMANO.
Venendo al particolare delle impronte latine stampate su le monete coniate della tavola XII., osservino gli studiosi, ch’elle non sono più che sei. Il Giove armato di fulmine che è una traduzione del fulmine e della ghianda, il bifronte, l’Enea, la falce e la clava. Il bifronte del numero 21. è in oro, per cui merita d’essere considerato come la più splendida infra tutte queste monete, niun’altra delle quali è in questo metallo. Direbbesi che su questo monumento nobilissimo i latini abbiano voluto stamparci l’imagine del patto, con che a’ romani si collegarono; quand’ebbero ottenuta la sospirata cittadinanza. Se ha verità l’ordine che noi diamo a queste monete, quel rovescio non potrebbe avere una più ragionevole dichiarazione. Il rovescio degli altri bifronti in elettro ed argento n. 22. 9. 10. non domandano più lungo discorso, l’Enea de’ numeri 6. e 8. congiungesi ad un cavallo, che mostreremo in appresso appartenere forse a’ rutuli; ne’ numeri poi 12. 12. A. e 13. l’Enea s’accoppia ad un busto di cavallo che è forse de’ volsci. Questa congiunzione de’ latini co’ rutuli e co’ volsci non ha fondamento e verità, se non nell’epoca del jus Latii, fatto comune a tutte quelle genti.
Un altro fatto di qualche rilevanza pare che a noi si scuopra in queste monete coniate. Erano quattro le serie delle monete latine fuse, e ci davano ragione di credere, che appartenessero alle quattro città più illustri fra le trenta di cui componevasi la confederazione latina: nelle coniate a noi sembra di non ravvisarne che tre. Sarebbe la prima quella dell’Enea col busto di cavallo nel rovescio, la seconda quella dell’Enea e il cavallo in corsa nel rovescio, la terza quella del bifronte. Una giusta analogia pareva che richiedesse, che il primo Enea si stesse da se senza l’unione d’alcun simbolo; il secondo per opposto avesse la doppia clava, quale realmente qui ci si offre al guardo. Cosi il primo de’ bifronti esser dovea, com’è, senza simbolo, e vi avrebbe dovuto essere un secondo bifronte accompagnato alla falce. Ma questo secondo bifronte manca affatto, e la falce, a cui doveva accompagnarsi, ne comparisce invece congiunta all’Enea nella prima serie.
Ne giova qui palesare un altro arcano. Nel ripostiglio di monte Mario erano riuniti agli assi romani quelli altresì della prima, della seconda e della terza serie latina: il quarto vi mancava. Anche nelle grandi publicazioni fatte dal Buonarroti, dall’Arrigoni, dal Passeri, dal Guarnacci, dal De Zelada quest’asse della quarta serie mai non s’affaccia. Noi non ne avremmo avuta la prima idea, se il Montfaucon non ce l’avesse data; e non l’avremmo forse mai potuto possedere, se la incomprensibile ricchezza di queste terre suburbane non ne avresse fatto, sono ora due anni, il prezioso dono.