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52 | PARTE SECONDA CL. I. |
La testa dell’eroe guerriero, che è il medesimo in tutti quattro i semissi, pare a noi che possa prendersi per un Enea. Il solo Marte ne sembrava potesse contraporsi al nostro giudizio: ma chi voglia vedere il modo con cui rappresentavasi questo sanguinolento iddio nel paese in cui siamo, guardi nella tavola XII. gli aurei coniati di Roma, che stanno sotto i numeri 1. 2. e 3. e la moneta latina in argento del numero 20. Un’occhiata anche sola vale più che dieci argomenti d’altro genere. A sostenere i diritti di Enea si presenta il Mercurio pelasgico dell’asse terzo e quarto. Costui s’ è qui meritato il primo luogo per la ragione dell’aver guidati i suoi pelasgi a si felice terra, e perchè qui riceve da’ suoi il culto che tributasi alle maggiori divinità. Enea, condottiere anch’esso de’ frigj, avrebbe qui dovuto cedere il primo onore alla madre Venere, deessa maggiore, e tenersi contento di questa seconda sede. Quel vigore che gli si vede stampato in volto, singolarmente nelle monete coniate, sembra ne additi il vigore della età in cui mori della onorata morte di quegli antichi eroi.
Il museo del Collegio Romano conta ora quattordici assi di queste quattro serie: e noi li riputiamo bastevoli a darci una giusta idea del peso generale di questa moneta latina, senza aver bisogno di ricorrere perciò alle parti minori dell’asse. Due di questi toccano quasi le tredici oncie e due le dodici: tre stanno al di sopra delle undici ed uno le eguaglia: gli altri sei stanno tra le nove e mezzo e le dieci. La conseguenza che quindi ne discende si è, sono che probabilmente, anche per questo maggior peso, anteriori di origine alle romane, e che come nelle romane della prima età non v’è una evidente prova di diminuzione di peso, cosi non v’è neppure in queste.
L’enorme differenza per cui qui Roma distinguesi dal Lazio consiste tutta nella diminuzione. Roma scende dalla moneta fusa alla coniata per diversi gradi: i latini non hanno di proprio che quella prima grandezza. La moneta ne è buon testimonio del fatto: la storia ce ne dichiara la ragione, con insegnarci, che Roma nel giro di poco oltre a due secoli e mezzo ebbe spogliato d’ogni nazionalità questo sfortunato popolo, e se l’ebbe quasi fatto servo. Che questo assoggettamento si traesse dietro la soppressione della moneta, non ce lo raccontano gli antichi scrittori; celo dimostra l’esperienza; e non pure rispetto al Lazio antico, ma in generale per tutte quelle genti e città che ne’ secoli posteriori furono fatte suddite a Roma, singolarmente entro i confini d^ Italia. Contuttociò il silenzio degli scrittori antichi non è tale, che non si possa anche da loro ricavare un certo argomento di questa romana prepotenza. Nell’anno 220 della città Tarquinio il superbo chiamò i latini a parlamento nell’usato luogo. Tito Livio (Lib. 1. c. 52.) narra tra le particolarità di quella funesta assemblea gli artifizj adoperati dal tiranno per provedere, ch’eglino d’allora in poi non potessero far mostra d’insegne proprie, ne propria signa haberent. E ancorché si volesse credere, che quel provedimento non avesse una diuturna efficacia converreb-