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50 PARTE SECONDA CL. I.

driga nel rovescio del bifronte. Le falci della quarta serie a niuno meglio possono convenire che al dio falcifero Saturno; come del solo Ercole sono le clave raddoppiate nella serie seconda. Le conchiglie e gli astragali nella lingua de’ latini portano il nome di quella Venere, che è sculta su gli assi della prima e seconda serie. Il caduceo spetta al Mercurio; e quell’animale marino che è ne’ due ultimi trienti, ha esso pure nella lingua del Lazio il nome medesimo di Mercurio: tursio si chiama l’animale, e Turms era quivi l’antico nome di Mercurio. Finalmente stimiamo che quelle mani e quelle spole sieno l’insegna della più utile tra le arti da Minerva alle donne insegnata.

Questo complesso di congetture può essere falso in molte parti: tuttavia noi protestiamo d’averlo attinto alla storia del paese, ponendola a confronto dei monumenti e delle monete, che tutte abbiam trovate in questo medesimo paese. Ma nel rimetterlo al giudizio de’ più dotti, perchè o in tutto o in parte l’approvino o il disapprovino, ci adopereremo di confortarlo con qualche altro argomento, non ad oggetto di far che trionfi la nostra spiegazione, ma perchè ciò che in essa può trovarsi di vero, non abbia a rimaner confuso col falso.

Ella è cosa di fatto per noi, che il bifronte di queste tavole appartiene a questo paese ; ed è sentenza di Servio, seguita da’ più assennati numismatici, che cotesti bifronti ad altro non sieno stati ritrovati, che a significare l’unione di due diversi popoli. La conseguenza più naturale di queste due premesse è per noi quella, che frigj adunque e pelasgi sieno qui congiunti, giacché nella primitiva storia del paese non troviamo qui memoria d’altre unioni. Così tra’ diversi Mercurj della mitologia non sappiamo chi meglio del pelasgico sia congiunto alla storia di questo paese, né chi possa avere, maggior diritto di lui sopra l’impronta del terzo e quarto asse corrispondente al bifronte.

La testa della dea rappresentata su’ due primi assi ne ha dato più arduo argomento di studio, come quella ch’era stata già da molti di noi più dotti dichiarata come testa di Minerva. Abbiam dapprima dovuto trovar ragioni per abbattere la sentenza altrui, quindi rinvenire i fondamenti alla sentenza nostra. Restringiamo quelle ragioni a due semplici osservazioni. Minerva era la dea della saggezza, della costanza, della industria. Gli antichi tanto ingegnosi nella stampare sul volto e nel costume delle, loro divinità e de’ loro eroi questi caratteri, avrebbono eglino, mai trasformate quelle virtù nella eleganza e nella mollezza, che sole si riocnoscono sul viso e nell’acconciatura di questa imagine? Pongasi al confronto il dupondio romano col tripondio. Chiaro apparisce, che l’artista il qual modellò quelle due teste, se avesse voluto, in amendue rappresentata la medesima Minerva, le avrebbe modellate presso a poco tra loro eguali. Ora perchè mentr’egli studiasi a segnare questa grave differenza, vorremo noi studiare altretanto a confonderla? E se l’imagine scolpita sul tripondio romano, che è una rozza co-